Racconto vincitore a pari merito dell'edizione 2006

LA "CINQUECENTO"
di Daniela Massa

Avevo deciso di prendermela comoda quel giorno, così uscii con un po' d'anticipo da casa.
Feci un giro un po' più lungo per andare a prendere mio figlio a scuola e così mi trovai a passare per una stradina da dove non passavo più da tanto, tanto tempo. Era una specie di viottolo carrozzabile che si arrampicava dal mare fino in cima alla collina e correva tra due muri a secco, ornati da buganvillee e biancospini che emanavano un profumo fantastico.
La stradina, ad un certo punto, si allargava e, tanti anni fa, proprio in quello slargo, vi era una carrozzeria.
Spensi il motore della mia grande macchina, mi posteggiai nello slargo e una valanga di ricordi mi tra-volse con il suo caldo abbraccio...

Fin da piccola avevo avuto la netta impressione di dover fare i conti con il desiderio di mio padre di avere un figlio maschio.
Così, sin dai primi anni, avevo assecondato il genitore fingendo grande entusiasmo, a Natale, per trenini di latta, meccano, pista delle automobiline, a scapito di bambole, orsacchiotti e collanine.
Su una cosa, però, non avevo mai dovuto fingere, la mia grande passione nel guidare.
La bici, per me, era stato il dono più bello da ricevere e scorrazzare in bici il divertimento per eccellenza.
Fu normale e naturale, quindi, imparare prestissimo a guidare la macchina: moto e motorini non aveva-no mai destato il mio interesse, mentre per le auto sragionavo di brutto.
Il mio sogno era la "Cinquecento", ma a diciotto anni cominciai a rendermi conto che non potevo chie-dere ai miei genitori un'altra auto: costava troppo mantenerne due!
Ragionai sul da farsi, poi aspettai di parlarne a mio padre in un momento di debolezza, mentre nel suo studiolo ascoltava "La forza del destino" Aspettai la fine del primo atto, poi, quando sentii che mio padre armeggiava col suo vecchio impianto stereofonico grande come un comò, bussai alla porta.
"Non ti ho mai chiesto di comperarmi nulla, papà, ma adesso è venuto il momento di dirti che mi piace-rebbe tanto la "Cinquecento"."
"Bene" rispose "in famiglia abbiamo già un'automobile ed una nuova autovettura comporterebbe un costo considerevole!"
"Non vorrei acquistarne una nuova, mi basterebbe averne una usata" dissi sfoderando un sorriso dei mi-gliori.
"Le cose guadagnate hanno un sapore diverso, più autentico, quando avrai un lavoro, ne riparleremo, per ora puoi, comunque, guidare la mia, sei molto più in gamba di me ad infilarla in quello stramaledetto garage!"
La questione fu così momentaneamente archiviata, cercai, allora un'altra soluzione, ce ne doveva pur essere una giusta per me!
Mi iscrissi all'università, depositai il piano di studi e cominciai a farmi il mio progetto di studio.
Il lavoro era ponderoso ed i professori dei caimani, ma studiando anche di notte, riuscii a risicare due pomeriggi alla settimana.
Tornai di nuovo alla carica col genitore.
Dovevo accompagnarlo in centro per delle commissioni, così approfittai del momento.
"Ho pensato di nuovo alla "Cinquecento", papà, ho due pomeriggi liberi alla settimana e così potrei far conto su dieci ore settimanali nelle quali dare ripetizioni ai ragazzi del ginnasio. Lo sai ero in gamba di greco e latino, e facendo un prezzo concorrenziale rispetto alle tariffe dei professori di scuola, potrei gua-dagnare circa quarantamila lire alla settimana."
"Sono andata dal tuo carrozziere e gli ho chiesto se ha qualche "Cinquecento" sotto mano: ne ha due: una rossa da delirio ed una bianca da mettere un po' a posto.
"Quella bianca costa trecentomila lire: ho calcolato, così, che in due mesi di ripetizione la posso compe-rare e con quello che mi guadagno negli altri mesi posso pagare il bollo, l'assicurazione e la benzina. Co-sa ne dici?"
Ero stata una mitraglia, l'avevo fiaccato alle corde ed ora tornavo nel mio angolo per aspettare la rispo-sta.
Fece un profondo sospiro, gonfiò il petto e disse:
"Sei in gamba, non c'è che dire, puoi dare tutte le ripetizioni che vuoi, però non salirai su nessuna mac-china prima che io l'abbia provata e vagliata."
"Sta bene" dissi "quando avrò il denaro andremo insieme da "Bacio le mani" e gli diremo di farci pro-vare la "Cinquecento" bianca, però, tu che lo conosci da tanti anni digli di mettermela da parte e di tenerla lì per i prossimi tre mesi!"
Scrissi con una vecchia Olivetti gli avvisi per le ripetizioni con i prezzi, numero di telefono ed indirizzo e li sistemai nei negozi vicino a casa.
Nella mattonata che dal mare arrivava fino a mezza costa dove iniziavano le serre dei floricoltori, c'era un emporio: il negozio di Steva (Stefano).
Lì, appiccicato con un po' di nastro adesivo, trovò decorosa dimora tra scaffali di pasta e contenitori di biscotti il mio primo annuncio.
Il secondo trovò una degna posizione dal verduraio tra i barattoli dei funghi secchi e le scatole di sapo-naria, l'ultimo, poi, lo lasciai appeso dal bancone di lavoro di Ometto il fabbro che vendeva anche se-menti e legna da ardere.
"Bacio le mani" era il carrozziere di mio padre da tempo immemorabile. Era un uomo molto cortese e simpatico, siciliano verace, gran lavoratore. Quando avevamo la necessità di andare da lui per far sparire qualche righetta da una portiera o da un parafango, ci raccontava le sue peripezie per venire al Nord e la fatica fatta per mantenere e far studiare i suoi figli. Dava, poi, ricette favolose per cucinare "u pisci spada" o il tonno fresco e salutava sempre con la fatidica frase:
"Bacio le mani".
E così fu più forte di noi dargli quel soprannome.
Mi ammazzai di lavoro: mattina università, pomeriggio, sera e pezzo di notte studio matto e disperatis-simo e due pomeriggi alla settimana quattro sbarbatelli ai quali spiegare il De Bello Gallico, l'aoristo e l'uso dell'ablativo assoluto. I miei amici, invece, se la spassavano allegramente tra feste, cinema e gite all'aria aperta.
Arrivò, però, la primavera e con essa il mio malloppo ammontava a trecentoventimila lire.
Erano molti soldi, tanti ed ingombranti, tutti in bigliettoni da diecimila grossi come tovaglioli: li avevo infilati in una enorme busta e portati personalmente a "Bacio le mani" con malcelato orgoglio.
Ovviamente aveva voluto essere presente anche mio padre per darmi il suo prezioso parere tecnico.
"Per forza", pensai "avrà paura che prenda una macchina piena di difetti ed insieme ad essa una grossa fregatura".
In cuor mio, però, speravo che quel gioiellino non avesse tante magagne; certo, qualche buchetto nella carrozzeria c'era , lo avrebbe visto anche un orbo, e si intravedevano qua e là pezzi di cartapesta mirabil-mente sistemati in modo da fungere ora da pezzo di portiera, ora da copertura posteriore della ruota de-stra. "Bacio le mani", però, ne ero certa, con la sua abilità, avrebbe sistemato con una stuccata ed una ver-niciata quel meraviglioso gioiellino che, con me alla guida, avrebbe fatto una figura formidabile.
Gli interni erano deliziosi (almeno quelli!): beh, avrei dovuto cambiare i tappetini (sembravano fette di groviera), ma ce l'avrei sicuramente fatta con le ripetizioni di una sola settimana!
Papà osservò attentamente l'auto, vi salì, mise in moto, girò il volante di qua e di là, spense il motore, scese, si chinò, guardò sotto la carrozzeria, diede qualche calcetto alle ruote anteriori poi parlò.
"Tonino, è veramente mal combinata questa cinquecento, non posso farci salire mia figlia, lei ci farebbe salire i suoi figli?"
Tonino si toccò il mento con fare meditabondo poi sinceramente rispose:
"No dottore, non ci penserei neanche di far salire i miei figli lì sopra!".
L'avrei ammazzato, ma perché non si faceva i fatti suoi, perché era così stupido e poco commerciale; avevo i soldi in contanti, gli avrei portato via quel rottame a prezzo d'oro, ma allora era proprio cretino! Cretino fino in fondo!
Non proferii parola ero furente come non mai.
Vidi mio padre avvicinarsi all'altra "Cinquecento", quella rosso Ferrari.
Aprì la portiera, mise in moto, con molta calma, poi, aprì il cofano, controllò il motore, tastò le gomme e disse con aria di sufficienza:
"Tonino su questa ci farebbe salire i suoi figli?"
"Minchia dottò, eccome no! È un giuell!"
"Tonino" chiese mio padre "quanto può costare un gioiellino di macchina così?"
"Per voi, dottò, seicentocinquantamila!"
"Bene" concluse mio papà e si rivolse a me, che, livida, avrei dato al rogo volentieri la "Cinquecento" rossa, quella bianca, Tonino e la mia bustona con il denaro guadagnato con immensa fatica.
"Ricapitoliamo" proseguì mio padre "tu hai trecentoventimila lire io ho in assegno da 330.000 Tonino ha un appuntamento con il notaio in città per il passaggio di proprietà: tu hai una macchina nuova. Va be-ne così?"
Andava benissimo così, salimmo sull'auto di mio padre, baciammo le mani a Tonino , mio padre poi ruppe il silenzio e disse:
"Sono orgoglioso di averti come figlia."
Eravamo fermi ad un semaforo rosso, mi girai, incontrai il suo sguardo e con le lacrime agli occhi lo ab-bracciai forte forte.
Gli occupanti delle altre vetture in coda accanto alla nostra guardarono con sospetto quel distinto signo-re brizzolato che amoreggiava con una biondina che avrebbe potuto essere sua figlia: che vergogna e che tempi!

Mi risvegliò il clacson di un'auto a cui ostruivo il passaggio. Non c 'era più la carrozzeria di Tonino, al suo posto, dietro un cancello automatizzato, il terreno era stato adibito a posteggio privato ed io stavo proprio davanti a quel cancello.
Mi scusai con un cenno della mano con il signore che andava così di fretta, presi gli occhiali da sole nel cassettino della mia auto così grande, potente e super tecnologica.
Scontrai con la mano, nel cassetto, il CD della "Forza del Destino" e sentii con i polpastrelli delle dita la mia vecchia chiave della "Cinquecento" rosso Ferrari. La presi in mano, la guardai così arrugginita, piccola, senza antifurto e senza pile da cambiare La strinsi forte nel pugno e pensai: "Ciao, papà, ovunque tu sia ciao!"


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