Racconto vincitore a pari merito dell'edizione 2005

"UNA DOMENICA, MAMMA..."

di Vanessa Navicelli, Vicobarone (PC)

Fronte russo, Novembre 1942


Cara mamma,

provo a scriverti questa lettera anche se non credo che riuscirò a fartela avere. Che vuoi farci, la posta, di questi tempi, lascia un po' a desiderare! Forse mi conviene sbrigarmi a tornare e consegnartela a mano, che dici?
Fa un gran freddo qua. Soprattutto di notte. Un alpino dovrebbe esserci abituato, lo so, ma... accidenti! Piove, tempesta, nevica. Come diceva la nonna? "Fa così freddo che anche Gesù Cristo ha il raffreddore". In effetti, ogni tanto, Lo sento starnutire. Pensa come Gli sono vicino, mamma!
Sai a cosa sto pensando? A quando, da bambino, andavo al catechismo da don Franco. Ci dava una caramella a testa e ci diceva:
"La vita vale sempre la pena di essere vissuta". Io stavo lì ad ascoltarlo, succhiando la mia caramella al latte. Non capivo bene cosa volesse dire, ma... don Franco lo diceva sorridendo e con una voce così commossa...
Oggi ho ucciso un uomo. Un altro. Aveva la barba, come il papà. È caduto sulla neve, senza far rumore. O forse ne ha fatto, tanto. E sono io che non l'ho sentito. Non ho sentito più niente...
Mi piaceva tanto la neve. Guardarla, toccarla, passeggiarci in mezzo... Ora non più. Quando la guardo, vedo il sangue di tutti quelli che ci sono morti e quasi mi manca il respiro.
Credi che don Franco mi potrà perdonare, mamma? Credi che Don Franco... che lui... Be' non importa...
Quando penso che Dio solo sa per quanto tempo dovremo restare ancora qui, mi metto a cantare, perché se no... mi viene un magone! E l'intero reggimento, subito, mi viene dietro. Così sembriamo un gruppo di scemi, vestiti quasi di stracci e mezzi congelati, che camminano ancora per non so quale miracolo e che cantano.
Lo so. Finiremo per sentirci dire "i soliti Italiani". Ma è meglio che ci vedano cantare piuttosto che piangere.
Mi è sempre piaciuto il silenzio. A casa, me ne stavo per conto mio, nei campi. Per giornate intere!... Adesso, il silenzio mi fa solo paura. Non sappiamo mai cosa aspettarci. Da un momento all'altro può succedere di tutto qui... Non riesco a farci l'abitudine. Ogni volta mi si ferma il cuore.
Ti ricordi, mamma, la nostra gita in montagna? Tu mi chiedevi: "Sei stanco? Vuoi riposarti un po'?". Qui non me lo chiede nessuno. Nessuno mi chiede se sono stanco... Be', lo sono.
A volte chiudo gli occhi e penso a voi. Vedo la casa, una pentola sul fuoco, i centrini di pizzo bianco della nonna, le tue piantine di basilico, mamma... e il papà che le travasa mentre tu lo minacci "guarda che se me le fai morire come l'anno scorso...!". Mi sembra di esserci anch'io, con voi. Mi vedo mentre ti abbraccio... mentre litigo col papà giocando a carte... e poi ci scherzo aggiustando la bicicletta. Quando riapro gli occhi e vedo solo i miei compagni feriti, raggomitolati, perduti come me... mi sembra che faccia ancora più freddo.
Come sta quel fifone di Gino? È sempre alla macchia? Chissà la zia Rosa com'è in pensiero a saperlo allo sbando... All'inizio mi faceva ridere pensarlo rintanato in montagna. Poi rabbia, come se stesse combattendo una guerra sua, contro di me e i miei compagni. E adesso... adesso non lo so più. Non so chi ha ragione. Non so neanche se c'è qualcuno che ha ragione! Forse siamo tutti allo sbando. Da qualsiasi parte stiamo.
Vorrei lasciarmi cadere a terra e restare così, immobile, sotto il cielo, a galleggiare nel nulla. E magari, ogni tanto, piangere... per vedere se con le lacrime se ne va via anche il dolore.
Da quando ho lasciato casa, ho visto e fatto più di quello che avrei voluto...

È questa la guerra: un di più di orrore in cui ti trovi immerso fino a poterci soffocare.
Ma forse, alla fine di tutto questo... Forse alla fine della guerra le cose cambieranno. Devono cambiare. Altrimenti... che stiamo facendo?

Quand'è partito, gli ho preparato io la sacca.
"Come se dovessi andare in gita!", rideva lui.
Maglioni, calze di lana, biscotti, qualche libro...
"Mamma, non posso portarmi dietro tutta quella roba! Altrimenti non ci sarà bisogno che mi sparino: cadrò morto sotto il peso dello zaino!"

Strano. Quando andavo a scuola, non riuscivo a imparare le poesie a memoria. Le maestre ci tenevano tanto, ma io, per quanto mi impegnassi... niente. Finivo sempre per prendere delle bacchettate sulle mani e poi in castigo dietro la lavagna. Questa lettera di mio figlio, invece, mi si è conficcata nella testa. Ormai è come se sentissi la sua voce che me la legge e rilegge di continuo. È da un anno che me la porto dietro, nella tasca del grembiule. Non per leggerla, perché non ne ho bisogno. Ma per toccarla.
Quando sentivo il dolore riempirmi la testa e il cuore, quando mi mancava l'aria e tutto, attorno, era solo orrore... la toccavo e stavo meglio. Magari non per molto. Per un po'. Ma era pur sempre qualcosa.
Gliel'hanno trovata addosso, questa lettera, e... e hanno pensato di farmela avere. È stato un bel gesto. Una cosa buona in mezzo a tutto questo schifo.
Era ancora vivo quando l'ha scritta. Era ancora vivo, allora, mio figlio.
Ora non lo è più.
È difficile spiegare come si mescolino assieme la felicità di sentirlo ancora parlare e lo strazio rinnovato di saperlo morto.
Sono stata da don Franco; gli ho fatto leggere la lettera. Lui, con un sorriso stanco, ha tirato fuori una caramella dalla tasca... E abbiamo pianto assieme.

Chissà quando finirà questa guerra maledetta... Speriamo presto... Ma sì, vedrai che finirà presto, mamma! E una domenica, quando meno te l'aspetti, mi vedrai piombare in casa, più precisamente in cucina. Sapessi che fame che ho!
Poi ci vestiamo eleganti e ce ne andiamo a ballare. Tu, il papà, io e magari Lucia, la figlia del fornaio. Se nel frattempo non si è fidanzata... E se no, chi se ne frega! L'importante è stare assieme noi tre. E festeggiare, eh, mamma?

È proprio una cosa stupida, da bambinetta, ma... per tutto quest'anno... ogni volta che arrivava la domenica, me ne stavo seduta su una poltrona, di fronte alla porta d'ingresso e fissavo la maniglia. E nella testa sentivo la sua voce, per tutto il giorno la voce di mio figlio che ripeteva:
"Una domenica, mamma... quando meno te l'aspetti..."


back